giovedì 20 settembre 2012

Room

Ci sono miliardi di cose di cui vorrei parlare, devo solo avere pazienza e scriverne, una alla volta. Mi sono ripromessa di parlare del Gothla, ma non è ancora il momento. E c'è un argomento che mi gira in testa da qualche giorno, di cui urge che io parli.

Ho preso l'abitudine di ordinare i libri su Amazon. Perchè è comodissimo, costa meno che in libreria, e insomma mi piace. Ti metti lì davanti al pc, leggi le recensioni, i commenti, guardi le copertine...ti fai un'idea e ti lasci ispirare..
Però a volte sento la necessità fisica della libreria. Sento la necessità di indugiare per i corridoi tra gli scaffali, di prendere un libro tra le mani e di registrarne il peso, le dimensioni, leggo la quarta di copertina, sfoglio, annuso. Ci passo anche le ore. Perchè a volte ho voglia di sentire quella specie di "click" che accade quando ho tra le mani un libro, e decido che sarà il mio prossimo.Nonostante quelli che mi hanno consigliato. Nonostante quelli che mi sono ripromessa di leggere. Nonostante quelli di cui tutti parlano e su cui anche io voglio farmi una opinione.

Per la settimana di vacanza mi ero portata "Thinner" di Stephen King e "Debout les morts" di Fred Vargas. Visto che leggo in francese e in inglese mi sono detta: ok, almeno par condicio.^__^ tanto a casa avevo Jo Nesbo che mi aspettava, in italiano. Quando ho finito Thinner, ho avuto voglia di leggere qualcos'altro, e sapevo che il supermercato di fronte a casa ha un piccolo scaffale di quelli girevoli, tipo fatto a griglia, dove avrei trovato bestseller e altri romanzi recenti. Ma non volevo un thriller. Ci ho provato con Michael Connelly, ma credo di essere o per le storie estreme, horror, o per le storie di vita non troppo smielate.E quello scaffalino lì era pieno zeppo di thriller. Il thriller di epoca vittoriana, e il thriller del tempo dei Romani, e il thriller del 200 avanti Cristo. No grazie.

Poi ho visto una copertina azzurra, un tomo di media grandezza, un libro non sottile ma neanche enorme. L'ho preso, l'ho sfogliato, apprezzato i caratteri distesi sulla pagina. Credo di avere letto solo metà del sunto di trama, ho pensato che dovevo leggerlo.

Room è una storia raccontata da un bimbo di 5 anni, che vive con la sua mamma in una stanza. Una stanza in cui mamma e bimbo hanno le loro abitudini quotidiane, in cui leggono, giocano, mangiano, corrono, urlano, dormono. All'inizio tutto è possibile, e cerchi di di indovinare per quale motivo il mondo dei due personaggi sia ridotto alle quattro pareti d quella stanza. Nella stanza la giornata finisce alle 21.00. Per Jack quello è il momento di andare a dormire, non nel letto, dove la mamma lo chiamerà più tardi nel corso della notte, ma nell'armadio, dove è al riparo dalle visite di un uomo che Jack chiama "Old Nick".

La storia di Jack è quella di un bimbo nato da una mamma 25enne, rapita da un uomo che ne ha fatto la sua proprietà; le ha creato una stanza invisibile , celata ad occhi indiscreti, e le porta tutto il necessario perchè lei e il suo bambino possano vivere.

Il giorno del quinto compleanno di Jack la sua mamma decide che è arrivato il momento di fuggire, di mettere in atto un piano di cui Jack è la chiave. I suoi tentativi quando era sola sono stati vani, ma Jack può essere la sua vera, concreta speranza di libertà.

A parte i casi di cronaca che immancabilmente mi sono tornati alla mente, quelli eclatanti  di Elizabeth Fritzl e Natasha Kampusch, sono altri aspetti del libro che mi hanno lasciato dei pensieri ricorrenti.

Non ho molta dimestichezza con il mondo dei cinquenni...Ma credo che l'autrice renda molto bene il pensiero di un bambino di quell'età, magari un bambino un po' più  intelligente della media. Ma con l'ingenuità tipica, con la curiosità, la voglia di sapere, fare, scoprire, pensare.
Ecco, quello che mi ha fatto pensare tanto è l'atteggiamento della mamma nei confronti di suo figlio. E' un atteggiamento mai stizzoso, mai rabbioso. Non taglia mai corto se Jack le fa delle domande, anche quelle meno opportune. C'è un fondo di dolcezza in quell'atteggiamento, la voglia di spiegare, di guidare suo figlio tra le scoperte, prima quelle del piccolo mondo della loro stanza, poi quelle del grande mondo che scopriranno oltre la porta chiusa.

Quella dolcezza mi ha fato ricordare immagini della mia infanzia, la rabbia di mia madre nel tagliare corto, nel rispondermi senza rispondermi, i famosi "neri precordi" sempre gonfi quando mi guardava urlando, la fronte aggrottata e la mia domanda ricorrente "Mamma, sei arrabbiata?". Ho sempre pensato che i genitori dovrebbero amare i propri figli, ma mi sono presto resa conto che l'amore ha mille modi di essere inteso, e soprattutto il tipo di amore che dai e quello che ricevi non potrebbero essere più diversi.
Ma un bambino non sa nulla di questo. Un bambino rimane solo male se la mamma gli risponde con la voce grossa o se lo prende a schiaffi. Non dico che non servano le punizioni. Dico solo che devono essere un'eccezione a una regola di serenità, pazienza e costanza. Perchè i bambini di ieri sono i grandi di oggi, che avranno dei bimbi che saranno i grandi di domani.

E credo fermamente che sia possibile interrompere un "pattern" familiare, del tipo che se i genitori divorziano, i genitori dei genitori avevano divorziato, deve essere possibile che la catena si interrompa in qualche punto.

C'è un punto del libro in cui Jack, vedendo il comportamento dei genitori degli altri bimbi, si stupisce di come i genitori non abbiano realmente voglia di giocare con i propri figli, ma che sembrino preferire un caffè con gli amici o un bel libro. Si chiede: perchè un genitore non ha voglia di fare delle cose con il proprio figlio?
Perchè fare un figlio se poi lo piazzo dalla nonna-zia-cugina-babysitter (ovviamente sto parlando dei momenti non lavorativi)? Perchè fare un figlio se non ho del tempo da dedicargli e lo piazzo davanti al pc-televisione-videogiochi tutto il pomeriggio? Perchè fare un figlio se lo perdo di vista in continuazione, se mi interessa solo relativamente come cresce, se mi importa solo di me stesso? Perchè fare un figlio se continua a interessarmi di più la partita-birra con gli amici-pancia piatta-sonno tranquillo? Perchè fare un figlio se poi non voglio dedicarmi a lui, alla sua crescita? 
Specie troppo poco animale forse , quella umana, in cui i figli rimangono con i genitori fino a età adulta, e non camminano dopo due ore, e non vengono allontanati dal branco dopo due anni, e non sono in grado di autogestirsi nel giro di poco.

Io non so se mai sarò mamma. Lo spero, in un futuro magari non troppo remoto. E non so che cosa voglia dire avere un figlio. Ognuno ti dice la sua, ma credo che ognuna viva in modo diverso una stessa identica esperienza. Ci sono mille modi di fare il genitore, e la cosa più triste è che per quanto un genitore creda di fare il meglio per il proprio figlio, è probabile che il figlio proprio da quel presunto meglio si senta avvilito, trascurato, inquinato, messo da parte.

E' difficile perdonare i proprio genitori per quello che pensiamo ci abbiano fatto di male.
Perchè quando ti metti in testa che il male che ti hanno fatto è la causa di tutti i tuoi mali, commetti un errore dal quale solo tu puoi liberarti. Diventi artefice del tuo inferno, ne costruisci le mura intorno a te e ti avvolgi da solo nelle fiamme.Indugi lì dentro  nell'assurda speranza che arrivi qualcuno a liberarti, o che il tuo presunto carnefice riconosca i suoi sbagli e ti chieda scusa. 

Le scuse non arriveranno, e sei tu che scegli che persona essere. Se continuare ad accusare un'entità esterna delle tue disgrazie, a sentirti una vittima da compatire, o capire che non c'è altro da fare se non prendere in mano il soffio di vita che ci è concesso, e renderlo il paradiso in terra. Com'era quella canzone...."we'll make heaven a place on earth, heaven is a place on earth".

Me lo devo tatuare in fronte, per non dimenticarmene. La nostra vita è inferno o paradiso solo perchè noi lo vogliamo.


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